Associazione Laude Novella

 

Igor Stravinsky

Un maestro del novecento

 Mostra multimediale

 Pavia

Santa Maria Gualtieri

 Piazza della vittoria

 4-11 ottobre 2008

 Aperta dalle 9.00 alle 19.00

Orario continuato

 Per prenotazioni e informazioni telefonare in orari d’ufficio al numero 3336856112

 

PRESENTAZIONE

Igor Stravinsky

Un Maestro del Novecento

Questa Mostra didascalica, tramite la figura carismatica, simpatica e antieroica di Igor Stravinsky, mira ad esplorare i cambiamenti musicali, artistici e culturali del Novecento. Il grande cosmopolita russo ha attraversato tutto il secolo degli “ismi” artistici senza la problematicità di molta avanguardia, mai imprigionato da barriere ideologiche o preconcetti, quasi privo di quelle sovrastrutture intellettuali o sociali di cui molte personalità del secolo scorso hanno dovuto dotarsi per riuscire a far fronte alla violenza centrifuga di valori, idee, punti di riferimento affettivi, politici, religiosi, estetici.

Guidato - come lui stesso raccontava - “solo dal suo appetito sonoro” e da una vorace curiosità, si trovò sempre nei luoghi e nei momenti storici ideali per divenire protagonista, profeta o soltanto umile seguace dei grandi cambiamenti della sua epoca. Talvolta tracciò, talvolta semplicemente seguì la strada di una musica ormai orfana delle certezze romantiche, e costretta a peregrinare alla ricerca di nuove fonti, nuovi stimoli, linguaggi, idiomi, gerghi, soluzioni estetiche, grammaticali e sintattiche. Esule dalla sua amata Russia ma senza mai soffermarsi in una Germania che – quasi metafora mozartiana - proprio in quegli anni si tramutava da madre in matrigna della cultura europea, continuò irrequieto i propri spostamenti tra Francia, Svizzera, Italia, Inghilterra, Stati Uniti e tanti altri luoghi; sempre e comunque schivando quei territori in cui via via si aprivano guerre, rivoluzioni, violenze. Anche a causa di questo fu accusato da alcuni di cinismo, individualismo, aristocratico distacco e debole senso di appartenenza culturale. Dall’altro lato, salvo sporadici casi di intensa drammaticità, la sua musica conservò sempre una specie di apollinea letizia nutrita di ironia, humor e sincero godimento che lo distaccano nettamente dalle lugubri, dilaniate tendenze della sua generazione. Lo sosteneva la ragionevolezza mai sentimentale eppure commovente dell’homo faber (così amava definirsi) sicuro com’era del proprio solido artigianato. Nelle sue interviste, diari e Dialoghi con Robert Craft ci lasciò uno spaccato vivissimo di incontri con personalità dell’arte, cultura, musica, letteratura, danza, politica, economia e religione attraverso tutto il XX secolo, egli stesso punteggiando quest’ultimo con partiture musicali memorabili. Mentre il suo linguaggio si aggiornava senza sosta assimilando con ingordo entusiasmo ogni esperienza ed ogni incontro con tradizioni nuove (per esempio il jazz, o la dodecafonia) o passate (per esempio le canzoni popolari russe o il Barocco italiano di Gesualdo e Pergolesi), il suo stile rimaneva comunque istantaneamente inconfondibile sia che si esprimesse con ironica malinconia o attraverso le sue belluine zampate ritmiche.

Nelle testimonianze dirette di Stravinsky riconosciamo – meglio che in un qualsiasi saggio enciclopedico - un deposito di conoscenza conciso ed efficace, umano e toccante riguardo a che cosa siano stati la musica sinfonica, il balletto, la poesia, lo spettacolo, il jazz, il neoclassicismo, il fauve, l’avanguardia, l’opera, la scenografia, la ricerca artistica; la “russità”, la “francesità”, “l’americanità” e i salotti europei nel Novecento.

Il medium teso a comunicare tale sfaccettata complessità è un sistema multi-video collegato a sistema audio Dolby Surround.

Le proiezioni presentano un patchwork cangiante di immagini in movimento sincronizzate con un montaggio-audio tipo “zapping di citazioni” stravinskiane tratte da documentari e archivi storici; foto di artisti e opere d’arte di epoca/stile/autore/soggetto diverso ma sempre collegato al mondo stravinskiano; brevi interventi dei curatori della mostra che nel filmato spiegano o intervistano esperti sui temi trattati; stralci di partiture, intuitivi schemi analitici, citazioni da- su- attorno a Stravinsky; titoli dei brani ascoltati.

Un mosaico di aneddoti, spunti, riferimenti, citazioni persone e didascalie si disegna negli incontri che compongono il viaggio umano, culturale e di studio di Stravinsky.

Cercheremo di avvicinarci al segreto che riguarda uno degli aspetti eccezionali del grande Igor: il fatto che un continuo mutamento delle tecniche musicali di riferimento abbia portato al progressivo consolidamento di uno stile unico e inequivocabile, piuttosto che al suo opposto – come tutti i suoi detrattori avevano previsto.

Uomo “senza patria”, con la curiosità di un moderno Ulisse Stravinsky si lasciò immergere in ciascuna delle comunità adottive che via via lo accoglieva, e allo stesso modo in ciascuna delle tecniche sopraelencate  che sperimentava, assorbendo tutte queste nuove identità ma rimanendo sempre se stesso. In questo modo riuscì a non perdere né stile né identità nel passaggio dalla grandeur parigina dei ballet russe (Sagra della Primavera, Uccello di Fuoco, Petrouchka) all’austerity del periodo bellico: un gioiello di arte povera stilizzata prendeva corpo nella fiaba dell’Histoire du Soldat ponte poetico verso altri tipi di essenzialità “neo-classica”: attraverso Pergolesi (Pulcinella) un lungo tuffo nel passato della grande tradizione europea scoperta e accolta come madre, maestra e approdo sicuro del compositore-viandante in cerca di nuovi centri gravitazionali. E così via verso l’Antica Grecia (Oedipus Rex, Orpheus) e poi l’America del jazz, del circo, delle big bands e delle grandi università, nel cui alveo accademico arriverà anche a misurarsi con quella tecnica dodecafonica così a lungo e volutamente tenuta distante.

Stravinsky fu ed è sommamente maestro senza pur aver mai avuto allievi né scuole, alla maniera di Dante: attraversando cioè ogni aspetto del reale armato solamente di un cuore vispo e una ragione acutissima, scrupolosa e perciò pronta a lasciar sfidare i propri limiti dalle evidenze osservate e sperimentate nella realtà stessa degli accadimenti quotidiani, e metodologicamente impostata ad un immediato paragone di verifica con la propria natura originaria, senza compromessi né inibizioni.

Suo seguace non sarebbe perciò chi ne imitasse lo stile o le tecniche, bensì il metodo.

Nella storia della musica, raramente l’empirismo ha ottenuto risultati più coerenti, originali e consistenti che nella musica di Igor Stravinsky.

 

Igor Stravinsky:

Igor

BIOGRAFIA

Igor Fëdorovič Stravinskij nasce nel giugno 1882 e vive infanzia e adoloscenza a San Pietroburgo. Benché cominci a studiare il pianoforte a nove anni e sia figlio di un cantante professionista, frequenta prima legge all'università, e comincia poi a dedicarsi seriamente alla composizione solo  a partire dal 1903, anno in cui comincia a studiare con Nicolaj Rimskij-Korsakov, il più affermato compositore russo dell'epoca dopo Čajkovskij. Dei suoi primi lavori si può ricordare la Sinfonia in Mi bemolle (1907), e le due composizioni sinfoniche Fuochi d'artificio e Scherzo fantastico (1908). Proprio dopo l'esecuzione di queste opere gli viene presentato l'impresario, artista e antropologo Sergej Diaghilev, con il quale comincerà una collaborazione che porterà ai tre celebri balletti: L'uccello di fuoco (1910), Petrouschka (1911) e La sagra di primavera (1913), che conducono Stravinskij a Parigi e gli permettono di affermarsi in Europa. Chiusa la parentesi parigina si trasferisce sul lago di Ginevra. Qui scrive L'histoire du soldat (1918) e Piano Rag-Music (1919). Con il balletto Pulcinella (1919) inaugura il suo periodo "neoclassico", in cui riprende e rielabora modelli, forme e stilemi dei grandi compositori del passato. Di questo periodo sono il Concerto per pianoforte e orchestra (1929), l'oratorio Oedipus Rex (1927), la Sinfonia di salmi (1930) e la Carriera del libertino (1951). Nel 1939 si trasferisce in America. Al periodo "neoclassico" seguono le sperimentazioni con la tecnica seriale, cominciate nel 1952 con il Settimino e approfondite negli anni successivi con, tra gli altri, Canticum sacrum ad honorem Sancti Marci nominis per soli, coro e orchestra (1955), e il balletto Agon (1957). Muore nel 1971 a New York.

Il tempo di Igor Stravinskij

di Giovanni Albini

Le grandi personalità della storia dell'arte vivono una relazione singolare con il tempo a cui appartengono; si potrebbe dire che ne siano sospinti e che lo alimentino a loro volta. Stravisnkij, in questo senso, vive un rapporto unico con l'inquietudine della sua epoca: in tutta la sua produzione assorbe e reinventa il passato e la cultura che lo circonda, e li trasforma e li filtra secondo le esigenze oggettive del periodo in cui vive, di cui però è un interprete irripetibile. Dagli esordi dei balletti russi, attraversando il periodo neoclassico, fino agli approdi alle tecniche seriali, Stravisnkij matura, manipola, e trasforma il materiale musicale rispondendo alle pressioni estetiche del presente, facendole proprie, e contribuendo con esiti personalissimi. Ed è forse proprio questo che accomuna tutti i grandi compositori: l'essere immersi nelle necessità e nelle tensioni espressive e stilistiche della loro epoca, che conducono e da cui si lasciano condurre, contemporaneamente padri e figli del loro tempo. Volendo raccontare Stravinskij e il suo tempo credo che questa sia la chiave di lettura necessaria, e che sia anche proprio questo, fondamentalmente, il motivo principale dell'importanza della sua figura.

L'opera che impone Stravinskij sulla scena europea, e sicuramente la sua composizione più celebre, è il Sacre du Printemps, balletto coreografato da Vaslav Nijinskij, che rappresenta un rito pagano della Russia arcaica in cui si celebra l'arrivo della primavera con una cerimonia che culmina con il sacrificio di una vergine. L'opera è di un'audacia tale nei contenuti, nell'orchestrazione e nello stile che la sua prima rappresentazione al Théâtre des Champs-Élysées di Parigi del 29 maggio 1913 è un fiasco. La sensuale barbarità della scena, l'arditezza della strumentazione, di cui si fa simbolo quel fagotto teso nel registro acuto che apre da solo l'Introduzione, e la cui voce, per dirla con Casella, «sembra risuonare dal fondo di quella Russia preistorica», l'uso della dissonanza, la violenta asimmetria dei ritmi e l'aggressività delle masse sonore sconvolgono il pubblico parigino. Ma la novità non è limitata a questo. Proprio Stravinskij scriverà anni dopo: «mi si è considerato a torto un rivoluzionario. [...] La novità del Sacre du Printemps non stava nella scrittura, nell'orchestrazione o nell'apparato tecnico, bensì nell'essenza di questa musica.» Di fronte alla crisi del linguaggio tonale dell'inizio del Novecento Stravinskij riprende le forme e le tecniche della tradizione, le scarnifica, le decontestualizza e le ricombina sotto una luce nuova, giocando sui confini più estremi di una sintassi assodata. In qualche modo le nasconde nelle viscere dell'opera. Ad esempio Stravinskij ricava molto del materiale tematico dalle più lontane e arcaiche radici della musica folclorica slava, manipolandolo e riadattandolo, come se le origini venissero celate per operare la loro influenza negli strati strutturali e stilistici più profondi. Si intravede un'estetica collegata ad altri esiti culturali del primo Novecento, come la psicoanalisi freudiana e il cubismo; temi e tradizione sembrano agire dall'inconscio, e si presentano filtrati, caotici, in una simultaneità di vedute. Non solo quindi Stravinskij risponde ad una necessità espressiva e stilistica del suo tempo, ma lo fa senza rifiutare il passato,  comprimendolo e al tempo stesso lasciandolo esplodere reinventato.

Ma se con il Sacre la tradizione e il passato rimangono sul fondo e agiscono dall'interno, con il passo successivo, che si inaugura nel 1919 con il Pulcinella, tradizione e passato vengono dichiaratamente esposti. Stravinskij, in quello che viene definito il suo periodo neoclassico, comincia a comporre sulle forme e sugli stili dei grandi maestri, da Pergolesi a Mozart, da Bach a Beethoven. Negli anni in cui si definisce la tecnica dodecafonica, in cui si affermano estetiche che si definiscono per negazione con il passato, Stravinskij non solo riprende la tradizione nei suoi monumenti più celebri e riconoscibili, ma ce li ricononsegna dissacrati, ricontestualizzati e rinnovati; come ha ben scritto Enrica Lisciani-Petrini, ci svela la loro «inesausta manipolabilità» e «inesauribile combinatorietà», ridandoci, questa volta per dirla con lo stesso Stravinskij, «la vita latente di quei tesori». La sua opera di questo periodo non ha però il sapore decadente e disincantato che si potrebbe immaginare, non è contraffazione, né tantomeno è un'operazione malinconica o, peggio, necrofila. «Conosco bene», scrive Stravinskij «la mentalità di quei conservatori e archivisti di musica che costituiscono gelosamente le loro intangibili carte, senza mai mettervi il naso, e non perdonano chi vogli rianimare la vita latente dei loro tesori che, per loro, sono cose morte e sacre.» É la gioia, ora coinvolta ora distaccata, di rompere i cristalli che sembravano imbrigliare quella bellezza del passato. «Ci sono ancora tanti pezzi da scrivere in Do maggiore».

E poi l'influsso del jazz, e l'incontro, negli ultimi anni della sua vita, con la tecnica seriale, con una capacità di riscoprirsi sempre lontano dagli schemi e dalle mode. Igor Fëdorovič Stravinskij attraversa il Novecento. Vive le sue contraddizioni e le esprime nella sua opera. Con il suo amore per l'artigianato e per l'empirismo regala soluzioni estetiche lontane dalle bandiere e dalle astrazioni concettuali. La sua è musica scritta spontaneamente, che assorbe le dinamiche più intense del passato e le tensioni che guardano al futuro, e che ancora oggi vive in quell'eterno presente in cui si collocano i classici della nostra cultura.

 

 

Pablo Picasso - Portrait of Igor Stravinsky 

 

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